Delitto Fioretto: si riapre il caso che fu bersaglio del depistaggio della «Falange armata»

di Marco Milioni per Vicenza Today

Forse, ma l’avverbio è d’obbligo, l’interrogatorio di garanzia cui domani 12 giugno sarà sottoposto nel carcere di Cosenza il 58enne Umberto Pietrolungo di Cetraro, fornirà altri elementi per chiarire i contorni dell’agguato «dal retrogusto mafioso» che nel 1991 costò la vita all’avvocato vicentino Pierangelo Fioretto e a sua moglie Mafalda Begnozzi. I due vennero freddati proprio nella città palladiana nei pressi della loro abitazione al civico 24 di contrà Ferretti. Pietrolungo, come si legge in una nota diramata ieri dal procuratore vicentino Lino Giorgio Bruno, è indiziato come uno degli esecutori materiali di quel duplice omicidio. Per questo è stato colpito da una misura cautelare in carcere dove si trova per altri reati . Si riapre così «un cold case» che dura da trentatré anni: sul quale per anni si sono spesi fiumi d’inchiostro. Che peraltro in queste ore sia sui media regionali che su quelli nazionali sta avendo una eco notevole.

PARLA IL PROCURATORE
Oggi peraltro durante un briefing alla Caserma Chinotto, come è stato riferito tra gli altri da Bruno, dal pubblico ministero Hans Roderig Blattner e dal questore berico Dario Sallustio nell’ambito della inchiesta hanno avuto un peso determinante i più recenti mezzi di accertamento forense. Tracce di dna un tempo inservibili, reperti come frammenti di guanti, due pistole giocattolo della Beretta riconvertite «in armi da sparo» rinvenute ad un paio di kilometri dal luogo del delitto, un silenziatore con tanto di impronte parziali sono stati gli elementi chiave del giro di boa annunciato oggi. Gli uomini della polizia di Stato (squadra mobile di Vicenza, Servizio centrale operativo ossia lo Sco per non parlare della polizia scientifica) dopo l’archiviazione del 2012 hanno così rimesso  il puzzle sul banco di lavoro.

L’APPORTO DELLA POLIZIA SCIENTIFICA
Ma in che modo? I dettagli elencati da Bruno e Blattner sono numerosi. Il 24 febbraio dell’anno scorso la Polizia scientifica, si legge per l’appunto nel dispaccio, viene in possesso di un bulbo pilifero di Pietrolungo. Il contesto è diversissimo. E riguarda una indagine della «Direzione investigativa antimafia» di Catanzaro rispetto ad una sparatoria avvenuta in un hotel di Diamante nel Cosentino. In quel contesto viene appunto ritrovato il capello o il pelo che nelle more delle indagini svolte in loco per quella sparatoria permettono agli investigatori di risalire a Pietrolungo. A lui infatti apparterrebbe quel frammento biologico.

Quando quella sequenza di dna entra nella banca dati della Polizia, «che nel frattempo è stata ancor meglio implementata e centralizzata», la scientifica, anche con le «ultimissime metodiche oggi a disposizione» mette in correlazione quel materiale genetico con quello catalogato ma de facto «anonimo» rinvenuto nel lontano 1991. Così partono le indagini più tradizionali che permettono a Sco e squadra mobile di Vicenza di fare un salto di qualità.

SCO E SQUADRA MOBILE AL LAVORO
Gli investigatori attraverso una serie di accertamenti «a maglia sempre più stretta» riescono a collocare la presenza dell’allora 25enne Pietrolungo nel nell’Italia settentrionale ossia nel Genovese. Allo stesso tempo, le testimonianze rese all’epoca del delitto di contrà Torretti (in foto uno scorcio della via del centro) la sera del 25 febbraio del ’91, trovano ulteriori riscontri. Che sono considerati tanto solidi da spiccare in queste ore un mandato d’arresto per il presunto omicida, che peraltro è già in carcere per altre accuse.

LO SPETTRO DEL CLAN
Ma c’è di più. Gli investigatori collocano Pietrolungo nell’orbita dei Muto: un potente clan mafioso della ‘ndrangheta calabrese della costa tirrenica con base a Cetraro nel Cosentino. Ed è a questo punto che la ricostruzione di Bruno si interrompe. Il procuratore fa sapere che le indagini per ricostruire il contesto criminale in cui per anni si sarebbe mosso Pietrolungo sono tuttora in corso: nulla più.

Ancora, il dirigente della Procura, non mette in correlazione diretta gli interessi di quel clan con gli eventuali mandanti o con il movente della esecuzione, ma nemmeno li esclude a priori. Contestualmente gli inquirenti spiegano come le ragioni ultime di quel duplice omicidio possano essere ricercate nell’ambito dell’attività professionale di Fioretto: avvocato specializzato in diritto fallimentare che in passato non solo aveva avuto incarichi di grande rilievo dal Tribunale di Vicenza: ma che era stato pure consulente di una serie di imprese venete di primaria importanza. Ad ogni modo già nei primi anni ’90 in città a più riprese si parla di esecuzione «dal retrogusto mafioso» senza però che ci siano conferme solide sul piano investigativo.

L’ECO DELLA MORTE DI ILARIA ALPI
Epperò adesso le indagini della magistratura sembrano dischiudere più interrogativi di quelli ai quali oggi è stata data una parziale risposta. Le ragioni sono diverse. In primis i Muto non sono un clan qualsiasi. In secundis quel tratto di costa è indelebilmente legato al caso del relitto di Cetraro: una vecchia nave passeggeri affondata ai tempi della Prima guerra mondiale secondo il governo italiano: un vascello dei veleni affondato ad arte secondo alcune inchieste giornalistiche «controcorrente». Una vicenda che potrebbe ricondurre addirittura alla morte della giornalista Ilaria Alpi in Somalia.

Quello della Alpi peraltro è un nome indissolubilmente legato ad altri morti misteriose come quelle dell’agente segreto Vincenzo Li Causi, del capitano della Marina militare Natale De Grazia e dell’incursione della Folgore ed ex 007 del Sismi Marco Mandolini.

IL GANGLIO OCCULTO
Per ultimo ma non da ultimo le indagini sull’omicidio Fioretto furono bersaglio di uno sviamento da parte della «Falange armata». Una centrale di depistaggio e disinformazione organica ad uno «Stato parallelo» che per anni avrebbe agito indisturbata in alcuni gangli delle istituzioni del Belpaese. A dare conto di questo anfratto dell’affaire Fioretto, tra gli altri, c’e un approfondimento del 12 maggio 2018 pubblicato proprio su Vicenzatoday.it. Si tratta di un dettaglio sul quale non è mai stata fatta piena luce. In quel servizio a firma di Alessandro Ambrosini si mette nero su bianco che il primo omicidio rivendicato dalla organizzazione terroristica «della Falange armata», quello di Umberto Mormile, fu opera della ‘ndrangheta calabrese che usò questo nome «come una sorta di segnale».

Ad ogni buon conto tornando indietro nel tempo nel 2019 il delitto di contrà Torretti aveva fatto molto discutere gli addetti ai lavori, quando il blog Omniavulnerant pubblica una retrospettiva sul caso. Dieci righe in chiusura la dicono lunga sui retroscena.

«Fioretto – si legge – si occupava di fallimenti. Era stimato collaboratore del giudice vicentino Giuseppe Bozza, il quale cessò nel 1994, tre anni dopo. I due gestirono il fallimento Cotorossi, il fallimento Pellizzari e il fallimento smalterie di Bassano. Tutte vicende con grande strascico sindacale negli anni caldi. Tutte le pratiche vennero subito sequestrate». Si tratta di imprese di grande pezzatura le cui traversie in quegli anni sono sulla bocca di tutti.

IL SEQUESTRO MASTROTTO
Poi un altro passaggio: «Inoltre, scrive il giornalista Pino Dato, Fioretto fu mediatore nella liberazione» dell’imprenditore conciario arzignanese Mario Mastrotto «sequestrato dalla malavita». Ancora, l’avvocato nell’ambito del fallimento della Sicons di Valdagno, «fu rappresentante di un grosso creditore» mentre in politica «era legato» all’ex senatore della Dc Delio Giacometti. Mentre l’ex ministro Antonio Bisaglia, uno degli uomini più potenti della Dc ai tempi della Prima repubblica, fu presente al «matrimonio» dello stesso professionista. «Dopo la morte parte dell’eredità è andata ai fratelli e parte alla madre della moglie. Quest’ultima parte venne da costei ceduta poco dopo al giudice Bozza, amico di famiglia».

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