Giustizia, parla Lupacchini: “Basta aristocrazie interne. La riforma è il primo passo per la terzietà del giudice”

di Edoardo Sirignano per Il Tempo

«La riforma Nordio, pur non essendo il punto di arrivo, è un importante passo in avanti. L’Anm la critica perché da tempo ha perso quello che doveva essere il suo ruolo sindacale, per assumerne uno politico. Un cambiamento, per quanto concerne la giustizia, ci sarà solo quando verranno superate quelle aristocrazie interne all’Ordine giudiziario, che di fatto condizionano l’indipendenza della magistratura». A dirlo Otello Lupacchini, giusfilosofo, ex procuratore generale di Catanzaro, passato alle cronache per i processi alla Banda della Magliana.

Perché è importante la separazione delle carriere voluta da Nordio?
«È fondamentale perché si realizza quel principio della terzietà del giudice, non solo sul piano etico e deontologico, ma soprattutto su quello formale. Il giudice è un terzo rispetto al pm, anche sotto il profilo dell’organizzazione della magistratura. Fino ad ora, al contrario, si era finito col porre su un piano di equiparazione sul piano ordinamentale il pm-accusatore e il giudice, con la conseguenza che non c’è di fatto quella differenziazione tra i due organi, basilare per avere fiducia nella decisione del giudice, che nulla deve avere da chiedere, da pretendere e soprattutto da temere rispetto all’accusatore».

Cosa ne pensa, invece, dell’Alta Corte per giudicare i magistrati?
«Mantenere l’attuale assetto dell’organismo disciplinare, poiché interno al Csm di cui è un’articolazione, indubbiamente non è garanzia di terzietà, stanti le funzioni ibride nei fatti- giurisdizionali e amministrative- svolte dai componenti dell’organismo di autogoverno. Ovviamente, la credibilità e l’efficienza della nuova Corte, dipenderà dai criteri di costituzione, composizione e organizzazione interna di essa».

Possiamo dire che con la riforma Nordio è stato fatto un passo in avanti?
«Assolutamente, ma allo stesso modo possiamo dare solo un giudizio che attiene alle “ideologie del processo”. Bisognerà, poi, vedere come la separazione sarà realizzata, quelle che saranno le disposizioni che regoleranno i rapporti tra organi formalmente separati, nonché la regolamentazione interna ai due Consigli Superiori».

Perché l’Anm continua a essere scettica?
«L’Anm, da tempo, ha abbandonato una funzione sindacale per assumerne una politica, promuovendo coloro che all’interno della stessa credono di fare il bello e il cattivo tempo. Ciò, però, ha finito col togliere alla magistratura una qualsiasi e obiettiva credibilità».

Se tale riforma ci fosse stata prima, forse si sarebbero evitate persecuzioni come quella nei confronti di Berlusconi?
«Non posso dirlo. Bisogna vedere come si muoverà il sistema e quali guarentigie saranno date ai nuovi organi. In realtà, quello che succede oggi è che qualsiasi giudice tende ad avere una propria visibilità, a prescindere da quello che fa e soprattutto mira a un consenso politico. É mia convinzione, comunque, che con le leggi non si modifica il Dna delle persone, così come non si garantisce né la moralità, né l’indipendenza, né l’imparzialità. Ciò avviene, invece, attraverso una consapevolezza di quello che è il proprio ruolo, che non deve essere di combattente, di belligerante, di persona che deve guadagnarsi il consenso, non sulla base dell’applicazione rigorosa del diritto, ma sul rispondere a istanze politiche più o meno sommerse, più o meno evidenti, più o meno credibili, più o meno condivise a livello collettivo».

Come invertire il trend?
«Recuperando la vera cultura giuridica. Oggi abbiamo una massa di ignoranti che indossano la toga e calzano in testa il tocco. Bisogna eliminare quelle aristocrazie interne fondate su una visibilità che si ottiene attraverso un rapporto malato con i giornalisti, togliere la dipendenza dalla polizia giudiziaria, che significa dipendenza dalla politica, nonché eliminare qualsiasi incentivo che nasca dall’essere politicamente apprezzato».

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