Matteo Messina Denaro, arrogante o rintronato?

di Otello Lupacchini

Promissio boni viri est obligatio. E non è mia intenzione sottrarmi all’impegno preso di spiegare perché ritengo che non sia credibile la narrazione ammannita da Toghe, Greche e Alamari, prontamente quanto acriticamente e impudicamente rilanciata da blasonati Velinofagi e Cani da Salotto in simulate vesti di Cani da Guardia del Potere, relativa alla cattura di MMD, la “Primula Rossa” di Cosa Nostra Stragista, la cui comoda e scandalosa latitanza si protraeva ormai da un trentennio. Sia chiaro, lungi dal me la volontà di “umiliare”, per dirla con il Comandante Generale dei Ros, gli investigatori e i magistrati che per anni hanno lavorato giorno e notte” per catturare il Latitante e neppure penso a “trattative segrete” o a “una consegna concordata”: l’equivocità degli elementi di cui si dispone non consente, allo stato, di trarre conclusioni al riguardo; rispetto, per altro profondamente, chi mi ha prestato lealmente con encomiabile abnegazione e spirito di sacrificio la propria collaborazione professionale in delicatissime indagini per gravissimi reati, i cui esiti positivi sono stati vanificati, purtroppo, da vergognose “fughe di notizie istituzionali”. Senso dello Stato, rispetto delle Istituzioni e personali apprezzamento e riconoscenza non possono tradursi in silenzio omertoso che mortificherebbe, a tacer d’altro, la stessa intelligenza di chi, pro bono pacis o peggio per opportunismo, scegliesse di chiudere occhi e orecchie alle ragioni della logica e del buonsenso.

Vedere MMD, subito dopo l’arresto che poneva fine a trent’anni di latitanza, il volto disteso, elegantemente vestito, incedere non ammanettato, con passo sicuro ed elastico, tra due carabinieri, i quali non paiono certo trattenerlo, quanto al più scortarlo garbatamente sino all’automezzo dove altro carabiniere, con inusitata sollecitudine, almeno date le circostanze, gli sistema il poggiatesta, e altro militare che sale sull’automezzo esibendo una pistola, sulla quale senza difficoltà l’arrestato potrebbe allungare le mani. Evoca, mutatis mutandis in chi abbia buona memoria, l’immagine di altra latitanza traumaticamente interrotta e altro catturato che, senza manette ai polsi, s’esibiva in blazer bleu, il collo fasciato da un foulard a pois sotto la camicia bianca, a intrattenere amenamente i cronisti, lì convenuti per conoscere i particolari della brillante operazione poliziesca, nell’anticamera dell’ufficio del questore di Torino. Suggestione, certamente, ma si sa come finì allora…

Un dato condotto a emersione dalle prime dichiarazioni del Comandante Generale del Ros è che dopo anni di “indagini tecniche”, finalmente si era giunti a localizzare nella clinica “Maddalena” di Palermo un non meglio identificato paziente oncologico, al quale in quella clinica venivano somministrate le terapie. Il paziente in questione si era palesato per MMD, declinando egli stesso le proprie generalità: solo in quel momento gli “operanti” avevano avuto la certezza che quell’individuo fosse l’uomo “più ricercato d’Italia”. Dopo svariate ore dall’avvenuta cattura, si apprendeva, questa volta, a seguito di una narrazione polifonica di Toghe, Greche e Alamari, che la memorabile “operazione” aveva preso le mosse da elementi emersi da intercettazioni telefoniche o magari” ambientali, forse addirittura telematiche, a carico di congiunti del “fantasma” da cui sarebbe emerso che il latitante era affetto da una patologia oncologica: di qui lo sviluppo di raffinatissime analisi, implicanti disamina di svariati archivi elettronici, incroci di dati, “scremature” e diavolerie varie, sino a restringere entro ambiti “ragionevoli” i profili dei pazienti oncologici compatibili con quello del ricercato. A questo punto, sia pure con qualche incertezza sugli esiti positivi, si è dato corso all’operazione.

Non entro nel merito, per mancanza delle necessarie conoscenze fattuali e metodologiche circa il relativo espletamento, degli accertamenti asseritamente svolti. Non posso, tuttavia, non sottolineare, come il lunghissimo periodo di attivazione delle intercettazioni segnali, rispetto alla lentezza con cui si sono raggiunti i risultati (parliamo di trent’anni!), una ridottissima efficacia del mezzo, affatto incompatibile con la campagna denigratoria nei confronti del Ministro della Giustizia, reo di aver prospettato una revisione della disciplina delle intercettazioni, in vista di un bilanciamento delle garanzie ex art. 15 Cost. e la reale efficienza dello strumento intrusivo.

Ben altri sono, tuttavia, i motivi di perplessità.

Da fonti aperte si apprende, innanzitutto, che nel corso di questi trent’anni di latitanza, MMD sia stato più volte sul punto di essere arrestato, ma che sempre egli sia sia riuscito a sottrarsi alla cattura, magari all’ultimo momento. Se ciò è vero, se ne deve desumere che MMD sia sfuggito ripetutamente ad appostamenti o perché qualche servitore infedele lo abbia messo in guardia dal pericolo incombente, consentendogli di sottrarsi ogni volta all’arresto; o perché ha sempre adottato le tipiche accortezze di chi vive in situazioni di costante pericolo, come ad esempio, non essere abitudinario negli spostamenti; evitare di frequentare determinati luoghi, che non offrano adeguate vie di fuga e garanzie di assoluta affidabilità di “amici”, “complici”, “sodali” che su quei luoghi esercitino un assoluto controllo, condicio sine qua non per prevenire ogni situazione di rischio; effettuare, prima di portarsi su un obiettivo, qualunque esso sia, quella che in gergo viene chiamata “bonifica”, intesa come sopralluogo finalizzato a cogliere la presenza di elementi di rischio, per sottrarsi allo stesso.

MMD, considerato il “latitante numero uno” d’Italia. in occasione dell’arresto, non ha adottato alcuna delle suddette precauzioni: quale paziente oncologico ha frequentato abitualmente la Clinica Maddalena di Palermo; all’interno di tale Clinica sembra non avesse alcuna “copertura”, visto che nessuno lo avrebbe avvertito dell’operazione poliziesca in corso di preparazione da qualche giorno, impegnante centocinquanta carabinieri, e che sarebbe scattata il lunedì mattina, quando gli era stata fissata la somministrazione della chemioterapia; nessuna “bonifica” fece eseguire, alla quale la massiccia presenza di militari dei Corpi speciali dei carabinieri non sarebbe potuta certamente sfuggire, evitandosi così, a un tempo, sia la cattura sia l’imbarazzante pantomima di dover essere proprio lui a certificare di essere la famigerata “Primula Rossa”, smontando così l’unica precauzione presa: la carta d’identità intestata a un geometra per avventura (o sventura) suo lontano parente.

Che dire? Il “pericolosissimo boss” è stato perso dalla sua arroganza o, dopo trent’anni di leggendaria latitanza, è improvvisamente rimbecillito, abbandonando ogni cautela, finendo per cadere nella rete sapientemente tesagli in trent’anni di indagini da investiganti umili, ma astutissimi? Ah, saperlo!

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