Gioco e Mala. Intervista a un “manovale” dell’azzardo nella provincia veneta

di Alessandro Ambrosini

 L’intervista che seguirà è stata fatta ad una persona che ha vissuto dentro al mondo del gioco d’azzardo. Dalle bische, agli ippodromi, dal totonero ai casinò. 

I fatti di questi giorni, legati alle scommesse di alcuni calciatori, ci riporta su uno dei “core business” della criminalità organizzata. Che non ha mai smesso di operare in questo settore. I dati che parlano della ludopatia ci dicono che, in Italia,  il 3% della popolazione è affetta da questa malattia. Un numero che probabilmente riguarda solo i casi estremi. Infatti, chi gioca d’azzardo, anche saltuariamente, è una percentuale molto più alta.

© 1997 ERREBI – VENEZIA – FELICE MANIERO

Chi abbiamo intervistato ha sfiorato il potere dell’organizzazione criminale che in Veneto è stata riconosciuta come mafia autoctona: la Mala del Brenta . Questa intervista è interessante per capire quanto, gioco e malavita, siano sempre stati “vicini di casa”. Leggere dalle parole di questa persona, aiuta a capire quanto sia dannoso l’azzardo, anche se gestito dallo Stato.

Il locale dove ci troviamo è un bar di Vicenza, non molto lontano dal centro della città del Palladio. Sono le 16.00 del pomeriggio e il barista pulisce stancamente il bancone. Quando arriva questa persona, di cui non faremo il nome, ma chiameremo Alberto, si nota subito che il viso è segnato da una vita “intensa” e sopra le righe. Non parla in dialetto, ha dei modi molto signorili all’apparenza. Le sue dita sembrano quelle di un pianista o di un cassiere di banca. Di quelli che contano i soldi senza neanche guardarli. Lo vedo che non ha voglia di molti convenevoli. E neppure io.

Il gioco d’azzardo è stato per un certo periodo il suo marchio, quando ha iniziato a giocare? 

“A sedici anni sono entrato in una agenzia ippica, mi incuriosiva la gente che vedevo camminare avanti e indietro, fumando avidamente anche l’ultimo millimetro di sigaretta. E poi quel tappeto di biglietti sul pavimento. Erano tipo post it , di vari colori. Gettati per terra con dei numeri e dei nomi. Ricevute che messe insieme valevano milioni di lire. Per non parlare del gracchiare del telex. Altri tempi…”

Sa che non poteva giocare ? 

“Certo che lo so, ma i “vecchi” dell’agenzia mi avevano preso in simpatia e se arrivava qualche poliziotto a giocarsi un cavallo mi nascondevano nel bagno. Compravo Trotto Sportsman prima di andare a scuola e l’adrenalina che mi dava era superiore a molte altre cose. “

Facendo due conti doveva essere il periodo di maggior potere di un certo Felice Maniero, che nel gioco d’azzardo era una sorta di Padreterno in Veneto. Che clima si respirava all’interno? 

“Si respirava l’aria di un mondo di malati per il gioco, ma con qualcosa di romantico. Un misto tra “Febbre da cavallo” e il sottobosco degli esseri umani. C’era di tutto, dagli industriali, ai pensionati, dai papponi ai poliziotti, dai truffatori a qualcuno in odore di mafia. Infatti, quando venne arrestato Giuseppe Madonia, in provincia di Vicenza, alcune volti sparirono. Tutti sapevano che alcune corse erano manovrate ma pochi sapevano da chi e come. Molti millantavano per avere qualche “stecca” sull’eventuale vittoria. La criminalità aveva delle sue figure all’interno dell’agenzia, presenti ma discrete. Al tempo non c’era la Snai e tutte le agenzie di betting che raccolgono oggi  le scommesse sul calcio. Allora c’era il totonero, rappresentato da una persona anziana, dai modi garbati. Veniva da un paesino della Riviera del Brenta con il suo impermeabile beige e il suo cocker. Sicuramente non “bancava” lui le partite. Lui era uno dei tanti “galoppini” di Maniero. Dentro all’impermeabile aveva il foglietto con le quote e il blocchetto delle ricevute. Lo sapevano anche i gestori dell’agenzia, ma nessuno ha mai protestato. Non era certo una buona idea farlo per loro che avevano anche un locale a Padova.” 

Ha mai saputo o visto calciatori scommettere al totonero?

“A dire il vero no. Ma ogni città era diversa. Qualcuno veniva a giocare ai cavalli. Ma erano già “ex” al tempo. Quelli in attività non li avresti mai visti. Al massimo mandavano qualcuno per procura. Non si sarebbero mai fatti vedere.”

Piazza Castello – Vicenza

E le bische a Vicenza? 

“Vicenza è una città viziosa da molti punti di vista. Dietro alla facciata perbenista si nasconde un mondo sommerso. Le bische come potete intenderle c’erano, ma erano a conoscenza di pochi, pochissimi. Poi bisogna capire che ci sono vari tipi di bische. Una storica era in pieno centro, in Piazza Castello. E sempre in zona ne avevano aperta una seconda in uno scantinato adibito ad appartamento. ” 

Ci spieghi meglio. Quanti tipi di bisca esistevano al tempo ? E quali erano le differenze? 

“In linea di massima esistevano i circoli ricreativi o locali legati a qualche forma di associazione dove si giocava a poker, a scala quaranta, a scacchi con partite da un milione di lire alla volta o a qualche gioco tradizionale ed esistevano ville, appartamenti anonimi dove usciva la roulette o il tavolo da chemin de fer. Due cose completamente diverse. I primi erano liberi, non giravano molti soldi e se iniziavano a “girare” cambiavano “categoria” e venivano assorbiti da chi gestiva il gioco d’azzardo in Veneto. I secondi erano in mano a gente legata direttamente a Padova e di conseguenza a un certo”ambiente” e a certi nomi che lei ha fatto.” 

 Alla Mala del Brenta allora… 

“Si, per interposta persona chiaramente.” 

E come funzionava il tutto? 

“Beh, come le ho detto non erano ambienti molto aperti, anzi. Il mondo dei giocatori d’azzardo è una sorta di casta chiusa, con delle regole e delle gerarchie. Se c’era da organizzare una partita bisognava innanzitutto vedere i partecipanti, chi erano, quanto potevano spendere, che lavoro facevano, se erano solvibili o no, in caso di assegni. Poi si chiamava chi di dovere, che molte volte coincideva con qualche cambista del Casinò di Venezia o un suo galoppino. Si preparava la casa o la villa ( di personaggi insospettabili) e si giocava. A seconda delle situazioni c’erano anche altre distrazioni, di tipo femminile intendo. Non prostitute, erano commesse che arrotondavano lo stipendio.”

 Girava anche droga? 

“No, quella mai. Almeno in modo palese, poi non so. Il giocatore è troppo concentrato sulla sua di droga per poter pensare a cocaina o altro.”

 Ma erano partite regolari ? 

“Si, in linea di massima si. Poi in realtà c’erano anche quelle “preparate”. Con roulette e sabot dello chemin de fer truccati. Ma questa è una storia diversa. In quel caso la “gente” di Padova ci mandava a Ferrara a prendere i “pezzi”, almeno per lo chemin de fer. “

 Che “pezzi” e come funzionavano le partite truccate? 

” Come dicevo ci mandavano a Ferrara a prendere il materiale che serviva. Il costo a sera era di nove milioni di vecchie lire. Molti soldi, ma bisogna considerare che si era a cavallo tra gli anni 90 e i 2000. Non c’era la tecnologia di oggi. Soldi che comunque recuperavi più che abbondantemente. I pezzi arrivavano da varie parti d’Italia e ce li consegnava un personaggio degno di un film. Aveva una sorta di uncino al posto della mano sinistra. Inquietante. In quel caso le carte erano lette da una microtelecamera all’interno del sabot, venivano viste da uno schermo esterno al locale e venivano comunicate tramite una microfono a membrana posizionato dietro l’orecchio. In quelle partite potevi raccogliere anche 60/70 milioni in una sera. Erano industriali di Brescia i bersagli preferiti. Boriosi e pieni di soldi. “

 A sentire queste storie sembrerebbe una vita facile, divertente, tranquilla… 

“No, è tutto il contrario. Il gioco d’azzardo, che tu sia giocatore o colui che “banca” è qualcosa che ti distrugge piano piano. E’ una droga come la cocaina o l’eroina. Ti consuma psicologicamente e poi fisicamente. Ho visto donne di 35 anni che sembrava ne avessero 50, famiglie distrutte, infarti…l’azzardo si può sfiorare ma se ci cadi dentro è un problema vero. E che sia lo Stato o no a gestirlo, non cambia molto.” 

Abbiamo visto agenzie ippiche, bische clandestine, totonero, ma il casinò? Venezia, ma non solo, erano territorio di Maniero e dei suoi cambisti. 

“Si ma non era così lampante l’appartenenza alla Mala. I cambisti c’erano da sempre. Al Lido per esempio, dove Maniero fece una delle sue grandi rapine, c’era un salottino all’entrata che era l’ufficio di questi figuri. Poltrone e tavolino per firmare gli assegni e un televisore per passare il tempo. Questo era il potere dei cambisti in genere: l’essere accettati, come fosse normale ospitare dei cravattai dentro a strutture municipali.” 

Perché allora andare a rapinare un posto dove lavoravano i suoi uomini? 

“Non esiste una risposta certa se non nella mente di Maniero o di chi partecipò al colpo. Di cose se ne sono dette tante, soprattutto in certi ambienti. Sicuramente c’è molta fantasia..ma non solo..” 

Cosa si diceva ? 

“Si disse che il Casinò pagasse una percentuale molto forte a Maniero e che quando cambiò il direttore gli accordi non furono più rispettati. Cosa che non piacque a Felicetto, che si vendicò rapinandolo. “

E la Slovenia? 

 “Per quanto riguarda i casinò in Slovenia era anche peggio. I cambisti italiani avevano le proprie “scorte” settimanali direttamente nelle cassette di sicurezza della casa da gioco. Ogni capo-cambista distribuiva 300 milioni ogni fine settimana ai giocatori. Ad un tasso del 10/20%  di interessi. Per massimo tre giorni. Un giro di assegni post-datati mostruoso. Ma non solo, era un posto ottimo per riciclare. Mi restò impresso un croato che giocava alla roulette, da solo contro il casinò, un miliardo a sera. Con le sue guardie del corpo intorno. Vincere o perdere fino a un terzo dei soldi non aveva importanza, l’importante era farli girare. Pulirli.” 

Argomento slot machine o videopoker? 

“Dalla metà degli anni ’90 fu il grande business del gioco. Non esisteva di meglio. Erano regolari rispetto alla legge, non davano nell’occhio e portavano un sacco di soldi. Tanti, pure troppi visto che poi furono messi sotto osservazione dallo Stato e poi gestiti dallo stesso.”

Che giro di soldi si può stimare ?

“Non è possibile definirlo, non è quantificabile perché era tutto in ”nero” e senza possibilità di valutarlo esternamente. Se non a spanne. Gente con sacchi neri, piene di banconote, andavano a San Marino una volta alla settimana,  a depositarli. Non si erano mai visti tanti soldi liquidi girare per i bar. C’erano posti che incassavano cento milioni a settimana. Gente rovinata ne ho visto molta. Non meno di oggi comunque, che il gioco lo gestisce lo Stato. “

E la criminalità? 

“La criminalità, come ogni business legato al gioco d’azzardo era presente a tutti i livelli. Tramite prestanomi ovviamente. O costruivano direttamente le slot o le noleggiavano ad altri noleggiatori che li distribuivano ovunque. Per i “commerciali” che piazzavano nei bar le loro macchine, c’erano cinquecento mila lire di provvigione. A macchina. E chi non pagava o non era in ordine con i conteggi erano giorni di ospedale e ossa rotte. Tutti divennero dei simil-boss, anche i vecchi proprietari di videogame che si erano inseriti nel settore dell’azzardo. Ma con pochissima fortuna però. Criminali si nasce, non ci si inventa dalla sera alla mattina. Era un mondo intriso di criminalità, vera e presunta. “

Nello specifico? 

“Beh dalle nostre parti i sinti, i nomadi erano grandi appassionati di quei giochi, anche perché sapevano come manomettere i meccanismi interni. O almeno lo pensavano. Ogni sala giochi era una base di riciclaggio di cose rubate: computer, telefoni…che i sinti dei campi nomadi si rivendevano a un quinto del valore. Oggi riciclano soldi rubati da rapine ai bancomat. Le sale slot sono buone centrali di riciclaggio “spiccio”.”

E oggi ? Quanto si è perso di questo mondo? E quanto si è trasformato?

“Oggi il lato romantico, se mai c’è stato un lato romantico si è perso. Il mondo dell’ippica sta ormai morendo e non c’è più gusto nel vedere le corse dal ristorante dell’ippodromo, mentre si sorseggia un buon vino. Il toto-nero è stato sostituito dalle agenzie di betting, e come si vede dalle cronache di questi giorni gli scandali sono anche più di prima. I casinò sono rimasti uguali, non con i cambisti ufficialmente ma con i propri personaggi legati all’usura. Le bische sono praticamente sparite, sono rimasti dei rari circoli privati dove si gioca il poker texas holdem. Ma non ci sono più i grandi “giri” di una volta. Oggi il grande business è nelle mani dei Monopoli di Stato e del gioco più o meno  legale online. Quella è la gallina dalle uova d’oro, insieme alle videolottery.  Macchine che rispetto ai videopoker di una volta, sono delle vere killer. L’italiano è un giocatore nel sangue. Non come i cinesi, ma si difende bene.  Soprattutto al sud. Oggi, appena maggiorenni, i giovani vanno a caricarsi i soldi nelle “carte” per giocare online. Si è abbattuta ogni barriera morale. Una volta venivamo considerati dei viziosi pericolosi, oggi è quasi normale giocare. Dai genitori ai figli, tutti giocano.”

Cosa le manca di quei giorni ? 

“Le bollette del sabato pomeriggio, quelle ricevute di Buffetti con scritti a mano i nomi delle squadre, la quota e quanto avevi scommesso. Quei fogli di carta che guardavi e riguardavi la domenica mentre alla radio partiva la sigla di “Tutto il calcio minuto per minuto”. “

 Anche l’ennesima sigaretta è finita ed è tempo di congedarci. Il suo passo è veloce e non lascia molto ai convenevoli. Se ne va come è arrivato, rapido e furtivo come la sua vita. Malinconico come i suoi ricordi di strada.

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